Quattro mesi per creare un mondo diseguale

Mercoledì sera sono stato alla presentazione del secondo libro di Laura Nacci, storica della lingua e linguista, con cui condivido anni di lavoro e una profonda stima reciproca. “Parole e potere al lavoro” è il titolo, con il sottotitolo che recita "il gender gap in dieci racconti linguistici". Laura dedica un capitolo a ogni parola chiave del suo campo di studio, ad esempio stereotipo, glass ceiling, carriera, accompagnandola con voci femminili autorevoli su ciascun tema.

Mentre tornavo a casa e condividevo le sue parole con mia moglie, mi sono reso conto di quanto quel libro tocchi il cuore stesso del mio lavoro quotidiano nelle organizzazioni, ma anche del lavoro di tutte e tutti noi. Questa mattina, ascoltando la rassegna stampa di Nicola Ghittoni su Il Post, i pezzi del puzzle hanno iniziato a comporsi in un quadro inquietante e illuminante.

I numeri non mentono

La Stampa racconta come, dopo 621 anni, l'Università di Torino avrà per la prima volta una rettrice donna. Lo presenta quasi come un evento epocale, quando dovrebbe essere normalità. Il Sole 24 Ore presenta il nuovo report del World Economic Forum: l'Italia è all'85esimo posto mondiale per parità di genere, ma precipita al 117esimo per i temi del lavoro. Centoventitré anni, stima il rapporto, per raggiungere la parità globale.

Ma è lo studio francese pubblicato su Nature e citato da Il Manifesto di oggi che mi ha colpito di più. I ricercatori hanno analizzato quasi tre milioni di bambini e bambine e hanno scoperto qualcosa di sconcertante: il divario matematico tra maschi e femmine si crea in soli quattro mesi di scuola primaria. Al primo giorno non c'è differenza. Dopo un quadrimestre, i maschi risultano "più competenti" nei test di problem solving e geometria.

La domanda che non riesco a togliermi dalla testa è semplice e per me terrificante: cosa succede in quei quattro mesi? Che cosa raccontiamo o “insegniamo” a queste bimbe? Se riusciamo a creare un divario così profondo in così poco tempo, però, significa che possiamo anche provare a disfarlo.

Il lavoro secondo la Costituzione

All'inizio della serata di presentazione, Maria Fratelli, direttrice della Fabbrica del Vapore dove si teneva l'evento, ha posto una domanda al pubblico: qual è il significato ultimo della parola "lavoro" nell'articolo 1 della Costituzione italiana? La sua risposta mi ha fatto riflettere: lavoro non in senso strettamente capitalistico, ma come contributo individuale alla crescita delle tante collettività di cui siamo parte: famiglia, impresa, città, gruppi sociali.

C'è un'ironia amara nel fatto che continuiamo a parlare dei "Padri Costituenti" quando dovremmo riconoscere che quella visione del lavoro come costruzione collettiva supera qualsiasi stereotipo di genere. Ho dovuto cercarlo, ma c’erano anche 21 “Madri Costituenti” che hanno dato un importante contributo alla redazione della Costituzione italiana. Alcune di loro, come Nilde Iotti, hanno poi svolto un ruolo di primo piano nella politica italiana successiva. La Costituzione stessa, poverina, vittima dello stereotipo linguistico che la vuole figlia solo di padri, parla di una società dove tutti contribuiscono secondo le proprie possibilità.

Quello che vedo nelle aziende

Quando entro nelle organizzazioni, spesso avvio le attività con un esercizio che si chiama "Stinky Fish": ognuno scrive su un post-it quello che nella propria azienda "puzza" ma nessuno ha il coraggio di nominare. I risultati sono molto simili in ogni azienda. Spesso purtroppo i Post-It riportano: mobbing, violenze, derisioni, battute sessiste, atteggiamenti inappropriati sull'abbigliamento, avanzamenti di carriera legati a favori sessuali. Il catalogo è ricco e ripetitivo.

Tutto questo genera stress, frustrazione, rabbia, abbandono delle aspirazioni di crescita personale e professionale, diminuita creazione di valore. La conseguenza? L'azienda diventa stanca, improduttiva, le persone sono svogliate, il lavoro perde il suo valore nobilitante.

Mario, il mio cliente tipo che è come molti imprenditori, cerca efficienza e produttività e si trova a navigare dinamiche organizzative che non ha scelto e che spesso non vede, ma che ha ereditato. La domanda diventa: come trasformare questi meccanismi inconsapevoli in leve di crescita (non solo economica)?

Il punto di svolta siamo noi maschi

Tutto parte da noi uomini, maschi. Inizio a vedere qualche “collega” maschio che prende posizione in favore dell'inclusione e della parità di genere nelle aziende, dell’umanità. Che tratta da pari le colleghe e pretende che tutti siano trattati allo stesso modo. Ma siamo tanto, tanto, tanto arretrati.

I pregiudizi e gli stereotipi, di genere e non solo, sono all'ordine del giorno in un paese di matrice post-cattolica e conservatrice dove certe dinamiche sono così radicate da sembrare naturali. Ma naturali non sono: sono costruite, alimentate, perpetuate. E se sono costruite, possono essere decostruite.

Il problema non è solo delle donne che subiscono discriminazioni. È nostro, di noi maschi che troppo spesso restiamo in silenzio, che non interveniamo, che consideriamo "normale" quello che normale non è. È nostro il compito di spezzare il meccanismo che in quattro mesi trasforma bambine capaci quanto i maschi in future donne "meno brave in matematica".

Fratellanza e sorellanza nelle parole

Laura, nel suo libro, dimostra come le parole non siano mai neutre. Ogni volta che usiamo un termine, creiamo spazi mentali, definiamo possibilità, tracciamo confini. Quando permettiamo che la parola "puttana" continui a essere usata per stigmatizzare le donne, facciamo un regalo al patriarcato. Quando diciamo "Padri Costituenti" invece di "Costituenti", rendiamo invisibile il contributo delle donne.

Ma le parole possono anche liberare. Possono creare spazi dove tutti possano fiorire, dove le competenze siano riconosciute indipendentemente dal genere, dove il lavoro torni a essere quello che i Costituenti, padri e madri insieme, avevano immaginato: un modo per dare pienezza al proprio essere cittadini e membri di una comunità adulta, matura e responsabile.

La fratellanza di cui scrive Laura non è un gesto, è una pratica quotidiana. È il riconoscimento che le nostre lotte sono connesse, che la mia libertà passa attraverso la tua, che un mondo più giusto per le donne è un mondo più giusto per tutti.

Avviamo il dibattito

Perché Mario dovrebbe preoccuparsi di tutto questo? Perché lavorare non dovrebbe essere solo una prestazione d'opera in cambio di una retribuzione, ma un modo per contribuire alla crescita di una società più equa e produttiva.

Se in quattro mesi riusciamo a convincere le bambine che la matematica non è per loro, immaginate cosa potremmo fare in quattro mesi per convincere tutti, maschi e femmine, che ogni persona ha diritto di esprimere il proprio potenziale senza limiti imposti da stereotipi secolari.

Qual è la vostra esperienza? Avete mai visto cambiare le dinamiche in un'organizzazione quando si è iniziato a lavorare davvero sulle parole e sugli spazi? Raccontatemi le vostre storie, le vostre osservazioni, i vostri dubbi. Perché è solo attraverso il confronto che possiamo trasformare questi centoventitré anni in qualcosa di più breve.

Come posso aiutarti?

Non farti problemi, scambiamo due parole: dal confronto nascono sempre idee inaspettate.