Il peso delle parole

"Le parole sono importanti!" urlava Nanni Moretti in Palombella Rossa. Non poteva avere più ragione.

Da sempre penso che le parole siano uno strumento delicato e potente che può costruire ponti o innalzare barriere. Ho imparato a cogliere nelle parole sfumature che vanno ben oltre il significato letterale osservando intenzioni, emozioni e contesti nascosti.

Sommerso da contenuti generati a raffica dalle IA, osservo spesso come intorno a me la scelta delle parole diventi sempre meno ponderata. Come se la velocità avesse sempre la precedenza sulla precisione, la quantità sulla qualità. E ci sono caduto pure io.

Breve storia triste

Mi suona anomalo dall'inizio, al punto che devo andare a recuperarlo dalla cartella dello spam. Il messaggio è bello, scorre bene anche se trovo la prima nota stonata nella seconda riga:

"ho notato la vostra realtà smart.forward."

Ora, il mio interlocutore non sa che SF è un progetto che sposto fra il cassetto dei sogni e la realtà da cinque anni e non gli ho mai dato vera vita. C'è qualcosa però nel garbo del messaggio che mi spinge a rispondere e ad aprire la porta ad un contatto. Provo ad entrare in consonanza con la nota stonata e chiedo:

"che cosa ha notato?"

La risposta trova in modo intelligente un punto di contatto

"proponiamo entrambi una pianificazione strategica."

Poi, scivola su:

"il problema principale è che il messaggio è veicolato nel modo sbagliato."

Assertivo, formale, senza sfumature dubitative o ipotetiche. Gerarchizza le difficoltà, suggerendo implicitamente che ce ne siano altre: lasci a me il compito di inferire che ci sia ben altro sotto. La parola problema palesemente mi attiva i circuiti di allerta, però sorrido: nonostante smart.forward. non esista se non in una manciata di fogli sparsi, non hai comunicato bene, ma apprezzo che tu ci abbia provato.

Mi incuriosisco, vengo a vedere chi sei e cosa fai. Ora posso dare un framing diverso alla situazione, mi viene istintivo di provare a coltivare il contatto. Penso che se ci parlassimo potrebbe venire fuori qualcosa di interessante.

Rispondo. Scelgo molto male una parola: definisco "pessima" la strategia che hai adottato per agganciarmi. Lo penso, tutta una serie di elementi me lo dimostrano. Lo scrivo con l'intento di essere costruttivo, sicuramente non pensando a dimostrarmi empatico.

Mi fai notare che ti ho mancato di rispetto e che non hai nessuna intenzione di continuare la conversazione. Hai ragione. E a me dispiace, tanto. Sapere che sono una persona che suscita quel tipo di reazione e che coltiva quel tipo di connessione proprio mi mortifica.

Ho pensato che solo scrivendone avrei razionalizzato, avrei potuto capire e trarne qualche cosa di positivo da questa storia. Ho appena sperimentato in prima persona il peso delle parole: volevo essere analitico, una mia parola ha completamente modificato la dinamica della conversazione.

Quello che mi rimane oggi è una riflessione sulla potenza delle parole nella costruzione delle relazioni e nella generazione di impatti, soprattutto in un momento in cui generare parole è a portata di clic.

Normalmente, quando devo dare feedback critici, mi affido al framework SBI (Situation-Behavior-Impact):

  • Descrivo la situazione specifica
  • Identifico il comportamento osservato
  • Condivido l'impatto che ha avuto su di me

Ma in quel momento di attivazione emotiva ho dimenticato tutto questo. Ho definito "pessima" una strategia di approccio, senza calibrare l'impatto emotivo di quell'aggettivo. Un'etichetta che ha chiuso ogni possibilità di dialogo.

Ironia della sorte: io, che facilito processi di connessione tra persone, ho contribuito attivamente a terminarne uno. Io che tengo training sul feedback. Quel singolo aggettivo ha trasformato una potenziale connessione in una porta chiusa.

È la differenza tra dire "questa strategia non mi sembra efficace perché..." e "la tua strategia è pessima". La prima apre una conversazione, la seconda la conclude.

Cosa mi porto a casa?

Ho deciso di scriverne immediatamente, dopo avere inviato un messaggio di chiarimento. Non per auto-assolvermi, ma per capire e imparare.

Non ho tatuaggi, ma ho sempre pensato che se ne avessi fatto uno mi sarei tatuato un segnale di STOP sul polso destro. Una volta ho trovato in un qualche testo di mindfulness questo (ennesimo) framework che mi ha risuonato tanto:

  • Stop (fermati);
  • Take a breath (fai un respiro);
  • Observe (osserva la situazione da un passo di lato);
  • Proceed (procedi con maggiore consapevolezza).

Uno dei miei principi guida per questo 2025 è "cerca di mantenere la presenza". In un mondo digitale sempre più frammentato e reattivo, voglio provare a essere portatore di una comunicazione più sana e consapevole. Non ho ancora definito esattamente come, ma sono convinto che la rigenerazione delle relazioni umane passi anche da qui: dal peso che decidiamo di dare alle nostre parole.

Come posso aiutarti?

Non farti problemi, scambiamo due parole: dal confronto nascono sempre idee inaspettate.